Le banlieues francesi


Da giorni ormai si sente parlare di periferie francesi messe a ferro e fuoco, tuttavia non si comprende da dove sorga quest’ondata di violenza improvvisa.
La realtà è che non si tratta di un fenomeno isolato né di recente origine.
Benché di fatto terrorizzino, non sono episodi di terrorismo quelli che agitano la Francia, ma vere e proprie agitazioni “popolari”.
Quale popolo si muove? E contro chi? Si tratta del popolo francese: una non più esigua minoranza di persone che reclama il proprio riconoscimento nella Nazione. Vanno precisati i termini, perché in situazioni delicate come questa una parola fuori posto può generare incomprensione e alimentare l’odio. Riconoscimento, quindi, e non “integrazione” perché a loro modo i banlieuesardes (abitanti dei sobborghi) si sentono parte del Paese: sono i giovani figli degli immigrati a scendere in strada, perlopiù nati in Francia e che riconoscono questa sola come loro patria. Paiono diversi dagli altri francesi per i retaggi familiari che li contraddistinguono: segni somatici, usi, stili di vita (…). Abitano in zone ai limiti della vivibilità, con poche possibilità di sviluppo anche per la mancanza di un’assistenza adeguata. Inoltre raramente possono portare a compimento gli studi e qualora vi riescano quasi mai hanno opportunità d’impiego. Questo a fronte di una discriminazione cui il Ministero delle pari opportunità ha ovviato proponendo curricula anonimi. Una soluzione che definire parziale sarebbe riduttivo. Ne consegue una discriminazione reale e talmente diffusa che si preferisce camuffarla piuttosto che fronteggiarla. Come poteva non generarsi disapprovazione da parte di chi, minato sul nascere dalla povertà, è soggetto a forme di emarginazione che i francesi stessi, ed il governo per loro, cercano di sottovalutare.
Tuttavia le sommosse non sono giustificabili tanto sul piano della moralità quanto in luce dei problemi che investono queste persone in modo tangibile. Sta alle istituzioni ora riconoscere maggiori diritti alla realtà multietnica che, se dapprima si era semplicemente insediata nel suolo francese, ora manifesta di aver messo radici e pretende che con questo dato si faccia i conti -in un modo o nell’altro-.
Inutile demonizzare i mandanti. Se non si è scelta la via del dialogo evidentemente non c’era un retroscena per farlo e questo va imputato alle autorità.
È tardi adesso per contenere il fenomeno, e lo sarà finché il ministro degli interni, Nicolas Sarkozy, proporrà di “ripulire le città a fondo”; queste parole suonano come una minaccia e fanno parte di un comunicato stampa. Assurdo rispondere alla violenza con una frase che istiga alla violenza. Poi il termine “ripulire” evoca l’atroce “pulizia etnica” che deturpò il volto “civile” dell’Occidentale nel secolo scorso. C’è da chiedersi dove questi ragazzi abbiano appreso un simile modello di comportamento, essendo figli, anche se non pienamente riconosciuti, dell’Europa. Lo stesso ministro (non per metterlo sotto accusa, ma in onor del vero) ha fatto sfoggio di altri termini poco consoni (es. “racaille”, feccia) che, se da un lato dimostrano una stretta autoritaria e una volontà risoluta nel provvedere alla questione, ed in questo egli fa appello agli altri francesi, quelli spaventati e “rispettabili”, assicurandosi i loro voti, dall’altro lato, difettando quanto a diplomazia incrementa le reazioni.
Anche la stampa dovrebbe guardarsi bene dall’usare appellativi che di per sé formulano un giudizio e creano faziosità. Parlare di “barbari”, “selvaggi”, “canaglie”, “delinquenti” significa porsi in una prospettiva parziale, affatto oggettiva e sconveniente ai fini di una corretta informazione.
Per risolvere il problema occorre comprendere, aldilà di ogni illegittima violenza, la giusta matrice del tutto. Non esistono “ribelli senza causa” né si può pretendere che fenomeni di tale portata nascano e si dissolvano dall’oggi al domani con semplici parole o manganellate. Già l’anno scorso erano stati registrati circa 30.000 casi di auto incendiate; dati lasciati in balia dell’indifferenza fino ai recenti, inequivocabili, riscontri.
Qual è il riflesso di tutto ciò nel nostro Paese?! Trasmissioni che mettono in guardia sulla potenzialità dei rischi nelle periferie italiane. Servizi nelle baraccopoli con tanto di interviste, come a voler smuovere la disperazione latente di persone che giornalmente lottano con la sopravvivenza. Certo è sconveniente tacere simili realtà, ma allora si cerchi di provvedere sul piano pratico, non si vendano parole e paure senza cautelarsi.


M. Lucia Peroni

Primo Piano, 14 Novembre 2005