Speaker Corner
LA DEMOCRAZIA NEL SUD AFRICA DELL’ANC
Le elezioni democratiche dell’aprile 1994 hanno rappresentato per il
Sud Africa un momento catartico: dopo duecento anni di predominio bianco e
50 di apartheid finalmente ai neri fu concesso di esprimere il proprio voto.
Nonostante enormi difficoltà e tensioni, fin dalle prime ore dell’alba
davanti ai seggi si formarono file, lunghe talvolta chilometri, di cittadini
desiderosi di esercitare il loro diritto. La portata dell’evento fu
definita dall’Arcivescovo Desmond Tutu che definì le elezioni
‘un miracolo’. Tuttavia, quello stesso giorno si esplicitava un
aspetto nefasto della democrazia sudafricana: l’assoluta dominazione
del partito di governo, l’African National Congress (ANC).
L’ANC era stato il protagonista principale della lotta al regime odioso
dell’apartheid. Grazie al prestigio ed all’onestà dei suoi
leader e al suo impegno sempre chiaramente indirizzato alla democrazia, l’ANC
rimase ben presto l’unico attore legittimo in grado di guidare il Paese.
Dal 1994, infatti, in tutte le elezioni il partito ha ottenuto la maggioranza
schiacciante dei seggi parlamentare e ha conquistato il governo del 75 per
cento delle province. Nelle elezioni del 2004, poi, per la prima volta l’ANC,
guidato da Thabo Mbeki, ha guadagnato i due terzi dei seggi parlamentari (maggioranza
che gli consente di emendare unilateralmente la costituzione) e tutte le province.
Il problema del Sud Africa, ovviamente, non è il governo dell’ANC
per se (governo che, sotto molti aspetti, ha dimostrato una notevole efficienza),
ma la totale assenza di un’opposizione. Di più: la completa mancanza
di una qualunque prospettiva credibile di opposizione. Il New National Party
(NNP), erede del National Party ma ripulito delle incrostazioni razziste,
ha cessato di esistere ed è stato inglobato dall’ANC. L’Inkatha
Freedom Party (IFP) è un partito esclusivamente zulu e ha perso gran
parte della sua credibilità a causa della corruzione evidente dei suoi
leader. Il dominio di un singolo partito e l’assenza di qualunque forma
istituzionale di opposizione è un vulnus piuttosto grave per una democrazia,
ma l’ANC sembra fare di tutto per aggravarlo. Soprattutto da quando
Nelson Mandela ha ceduto il potere a Mbeki, il partito ha accentrato le sue
strutture: tutti i funzionari, anche ai gradi più bassi delle amministrazioni
municipali, sono scelti direttamente da un comitato centrale a Pretoria. In
questo modo, ogni forma di opposizione scompare: vengono scelte solo persone
chiaramente allineate con la linea politica dei vertici, determinando la scomparsa
di ogni dialettica interna.
Questa continua e crescente verticizzazione della politica sudafricana, ha
determinato il consolidarsi di quella che oramai viene comunemente definita
una ‘aristocrazia della liberazione’. Si tratta dell’elite
dirigente dell’ANC che si presenta sempre più come gruppo chiuso
e potente, del tutto padrone della scena politica e, in virtù di una
ferrea alleanza con l’elite bianca, anche di quella economica. Questa
elite accumula ogni giorno più potere e più privilegi grazie
alla legittimazione, oramai mitizzata e, dunque, per sua stessa natura indiscutibile,
che gli deriva dalla lotta all’apartheid. Dunque, alle separazioni razziali
si sono sostituite in Sud Africa le fratture economiche. La società,
infatti, è chiaramente divisa in due parti. Una è agiata e si
giova delle politiche liberiste del governo. È composta dalla quasi
totalità dei bianchi, da una buona percentuale degli indiani ma anche,
e questa è la novità, da una quota sostanziosa di neri e coloured.
Dall’altro lato, vi è la una grande massa di esclusi che lotta
ogni giorno per sopravvivere e per ottenere i servizi basilari garantiti,
tra l’altro, dalla costituzione. Vi è un piccolo gruppo di bianchi
e indiani senza lavoro né prospettive, soprattutto concentrati nelle
aree urbane, ma soprattutto è costituita da neri, ben il 75 per cento
dei quali vive sotto la soglia della povertà.
Il quadro che ho dipinto è piuttosto funereo. In effetti, quello che
sembrava l’incarnazione degli ideali, dei sogni e delle prospettive
degli anni ’90 ha rivelato un lato oscuro, non imprevisto, ma ciò
nondimeno inquietante. Tuttavia, neppure è vero, come ormai sempre
più spesso si sente dire, che il Sud Africa è senza speranza
perché incubatrice di una nuova forma di autocrazia, più subdola
e per questo più temibile. Come mostrerò nel prossimo editoriale,
infatti, in Sud Africa esiste una forza potente e vitale, la società
civile, che può realmente rappresentare un ancora di salvezza per il
Paese.
Gianmaria Pinto
Primo Piano, 2005-09-16