Amare la propria terra
L’importanza della qualità contro la quantità
L’arrivo sui nostri mercati dei prodotti provenienti dai Paesi in Via
di Sviluppo incute un sempre maggiore timore per il futuro delle nostre aziende.
L’evoluzione sociale che specialmente noi giovani stiamo sperimentando
a ritmi vertiginosi ci porta a richiedere il soddisfacimento di un sempre
maggiore grado di utilità. Se da un lato è vero, come afferma
Witt, che per i bisogni di base il consumo avviene fino alla sazietà,
salvo che il bene non sia presente in quantità limitate, e che se ne
avverte di nuovo il bisogno quando se ne percepisce la carenza, senza quindi
poter stabilire una gerarchia tra diversi bisogni elementari qualora soddisfatti
almeno a un livello minimo, ciò non è altrettanto vero per i
beni sociali. Essi, infatti, vista la complessità che li caratterizza,
fanno scattare nella psicologia di chi li desidera una scelta di priorità
dove in genere il bene più complesso, in qualità di bene che
fornisce un maggiore grado di utilità, viene preferito al bene semplice.
L’attuale situazione economica in cui (ahimé) versa il nostro
paese, ci sta facendo riscoprire l’esigenza di trovare prodotti che,
proprio perché simili a quelli che desideriamo ma a basso costo, ci
illudano di raggiungere lo stesso grado di soddisfacimento che ci darebbe
il prodotto che siamo intenzionati ad acquistare.
Ritengo, però, che in questa situazione l’atteggiamento che si
dovrebbe adottare non debba essere di chiusura verso quei prodotti, ma di
riscoperta delle radici che ci legano nel bene e nel male alla terra in cui
siamo nati e cresciuti. In particolare la nostra regione si caratterizza per
un tessuto sociale (base del sistema economico) fatto di conoscenze, tecnologie
e prodotti di alta qualità. Questo tessuto, allora, deve diventare
il motore grazie al quale poter reagire alle sfide che ci vengono tanto da
Oriente quanto da Occidente. Un tessuto che accumulando conoscenza è
in grado di riprodurre sé stesso, garantendo quella reazione vincente
di cui dicevo. Per arrivare a questo risultato abbiamo però bisogno
di due cose.
La prima è di stampo prevalentemente tecnico. Il tessuto deve imparare
a “fare sistema”. È necessario uscire dalla logica del
successo interno alla singola impresa per iniziare a ragionare in termini
di sviluppo integrato. Ciò che si deve ricercare è una strada
che valorizzi l’intero territorio in modo tale che chi viene a visitare
un certo paese o compra un certo paio di scarpe o beve un certo tipo di vino
non compie quel gesto fine a sé stesso, ma acquista la consapevolezza
che nel prodotto con cui ha raggiunto un definito grado di utilità
si rispecchia la cultura, la storia, la tecnologia e l’ingegno degli
abitanti di quella zona. Per raggiungere questo risultato imprese ed istituzioni
devono entrare (specie nelle nostre terre) in un’ottica di maggiore
dialogo e apertura reciproca al fine di ottenere un sinergico scambio di saperi
e di informazioni.
Da un punto di vista più squisitamente culturale Noi, uomini e cittadini,
non dobbiamo mai vergognarci di affermare con orgoglio le nostre origini.
Dobbiamo riscoprire quel profondo senso di appartenenza che ci lega alla nostra
terra, in modo da essere in prima persona, durante qualsiasi spostamento che
ci capita di fare, il primo sponsor del background in cui siamo cresciuti.
Così come le imprese, poi, anche noi dobbiamo essere in grado di adattarci
ai continui cambiamenti a cui siamo sottoposti, mantenendo al contempo un’immagine
positiva per l’immaginario collettivo che ci osserva dall’esterno.
Questa scelta di “qualità” indubbiamente comporta sacrifici,
ma è forse l’unica strada per venir fuori vincenti nella battaglia
contro chi ci offre “quantità”.
Armando M. Corsi
Primo Piano – Sabato 14/05/05 – 18:40