“Una luce di lontano”:
una poesia per il Papa
E d’improvviso apparisti, quel 16 ottobre del ’78,
tra la plaudente schiera dei porporati
come carico d’una nuova e imprevista luce.
L’ora era quella che si insinua tra gli ultimi bagliori
del giorno di fine autunno e l’incipiente notte
ma nessuno notò l’avanzare del buio
poiché tu, come rapido fulgore, accendesti
d’inaspettati balenii, S.Pietro, la Chiesa, il Mondo.
Alla riarsa schiera dell’umana famiglia, facesti cadere
lustrali parole di vita, gridasti la bramosia dell’empito salvifico
che era di Abramo, di Isaia, e del Salvatore Eterno, Gesù Cristo.
Il tuo sguardo mutevole come il vento
che ora si fa brezza carezzante ora squassante forza dell’universo
trapassò milioni d’aneliti, d’occhi imploranti di mani
nude
scavando inesorabile la certezza della follia della Croce
calda matrice d’ogni speranza.
Ti sei donato, dato a pasto al gregge umano disperante
di salvezza, senza barriere né limiti, ove le tue membra
tutto coprivano d’una umile, tenace, bianca letizia.
Né la mano armata d’un tardo tarlo ideologico
né il disprezzo dei potenti alle tue perorazioni generanti vita
ti hanno realmente scalfito,
Gigante placido come la poderosa Vistola
chiaro e limpido come i laghi della Mazuria.
Il Mondo folle ed empio enumera i tuoi trionfi
i tuoi smacchi, ma non sa né vuol vedere, l’inaudito
tuo estremo messaggio.
Non comprese quello che, nella Pasqua del 2003,
dicesti, tra fili di saliva e tremolii squassanti:
Tertio die Resurrexit.
E lì nella Croce della tua croce, dove la malattia
ha compiuto il sacrilego saccheggio di quello che fu
il tuo alto e vigoroso corpo
hai mietuto il tuo più copioso raccolto.
Nel tuo grido muto della Domenica di Resurrezione
quando la Nera Sorella ti ha tentato inutilmente
ci additasti quello che ora, finalmente
possiamo capire: una Croce, di lontano.
Fabrizio Abbattista
Primo piano – venerdì 8 aprile 2005, ore 18.38