Serata con Stefano Benni
Ovvero discorso sul talento al giorno d’oggi
Incontrare “Il Lupo” in un teatro off di periferia
è un pò come fare una chiacchierata senza riflettori, parlare
sì di un suo libro o dell’attualità, ma finire col ripercorrere
emozioni e ricordi esilaranti non censurati da una telecamera o dal grande
pubblico.
Del resto Stefano Benni, sotto quell’apparire burbero di un sessantenne
che la sa lunga, nasconde una comicità ed una spontaneità che
danno ragione delle sue origini a cavallo fra Emilia Romagna e Toscana, in
un piccolo paese d’Appennino di una volta.
Ci confessa come, in questi nostri tempi difficili per la libertà d’espressione,
sia sempre più affascinato dal talento, da quello autentico che è
personalità, stimolo, ricchezza individuale da condividere, seme da
coltivare con passione (talentuoso è un insegnante che fa una buona
lezione), il tutto condito da una certa dose di anticonformismo; infatti il
vero talento non si rassegna a ciò che il potere chiede ma in una qualche
misura lo spaventa, il che spiega perché i regimi antidemocratici lo
hanno sempre avversato (“…il vero scrittore deve essere un po’
lontano dal potere, non deve scrivere per la politica…”).
Secondo Benni la misura di un talento è pressoché estranea al
mondo televisivo, il quale tende a uniformare, a distruggere il sapere critico
e la cultura individuale; in TV vede molti non talenti, o comunque talenti
minori rispetto a ciò che può offrire ad esempio il mondo del
libro (negli ultimi quattro anni la televisione ha perso circa cinque milioni
di spettatori, la lettura non ha visto flessioni).
I suoi ultimi due libri sono la storia di due talenti, uno frutto della fantasia
(in “Margherita Dolcevita”), l’altro protagonista innovativo
e controverso del mondo jazz per trent’anni (“Misterioso. Viaggio
nel silenzio di Thelonious Monk”).
Margherita vive faticosamente il proprio senso di libertà di ragazzina
non conformista, in grado di affermare il proprio talento e la propria ironia
guardando dal buco della serratura una realtà estranea al suo mondo,
fatto di curiosità ed innocenza; Monk è l’emblema di un
talento rischioso, geniale e non compreso, fatto di innovazione in cui l’arte
è anche silenzio e rivendica il suo diritto di essere altrove, dove
solo la morte rivela la straordinarietà di un pianista misterioso.
Stefano Benni ci racconta anche dei ricordi giovanili del bar di paese, degli
aneddoti tragicomici del militare, dei trasgressivi anni ’70, delle
vecchie lettere d’amore ritrovate che lo hanno emozionato e reso teneramente
ridicolo a sé stesso…insomma, ci apre un pochino la porta dell’intimità,
facendoci andare al di là dello scrittore. Con un consiglio finale
a tutti gli aspiranti scrittori: avendo talento, molta pazienza e umiltà
si può vincere, il che non significa fare il record di copie vendute
(altrimenti anche Bruno Vespa avrebbe talento), ma significa lasciare un segno
personale e durare nel tempo.
Francesco Serafini
Cultura e spettacolo – domenica 30 ottobre 2005, ore 16:18