Salvador Dalì.
Jesi - ritrovato un Salvador Dalì appartenuto a un frate marchigiano.

Si tratta di un crocifisso che il catalano donò a Padre Berardi per aver ricevuto da lui un esorcismo. La segnalazione è dovuta al critico d’arte Armando Ginesi

“A mio giudizio esistono più che sufficienti motivazioni stilistiche per affermare che l’opera plastica sia stata realizzata da Salvador Dalì”. E’ con questa affermazione che il critico d’arte Armando Ginesi restituisce al famoso artista catalano la paternità di una croce lignea (di cm 60 x 30), appartenuta a un religioso marchigiano, recentemente ritrovata.
Solo dopo essere stati interpellati due studiosi spagnoli esperti dell’iconografia daliniana, che hanno analizzato l’opera attraverso diapositive, e dopo due esami condotti direttamente sulla scultura dal contemporaneista marchigiano, è stato dato il là alla divulgazione dell’importante scoperta. La notizia di indubbio valore storico-artistico aggiunge un’altra tessera al repertorio dell’artista e alla complessa e affascinante personalità del principale interprete del movimento Surrealista.
La croce è stata rinvenuta incartata in un ripostiglio, a Roma, dove erano conservati gli oggetti personali di Padre Gabriele Maria Berardi (al secolo Francesco Maria Berardi), nativo di Carpegna, appartenente all’ordine dei Servi di Maria e fondatore di un’Opera di carità. Questi, migrato in Francia dietro consiglio di superiori per non aver potuto onorare certi impegni finanziari assunti per far fronte ad azioni caritatevoli di molti bisognosi, in un periodo di sospensione dello stato sacerdotale, conobbe Dalì in territorio francese, dove per mantenersi fece i mestieri più disparati. Sia in Italia che Oltralpe il generoso Berardi, di cui è in corso la causa di canonizzazione e al quale molti fedeli attribuiscono grazie e miracoli, esercitò la funzione di esorcista e, secondo alcuni testimoni che gli furono molto vicini e che riferiscono quanto da lui più volte dichiarato in proposito, esorcizzò lo stesso artista, non a caso definito dalla critica eretico, demoniaco, paranoico nonché attratto dalle suggestioni mistiche. Ha scritto lui stesso: “Il Cielo, ecco quello che la mia anima ebbra d’Assoluto ha cercato durante tutta la mia vita e che a certuno è potuta sembrare confusa e, per dirla tutta, profumata dallo zolfo del demonio. [...] Ora io non ho ancora la fede e temo di morire senza il Cielo”. L’esorcismo a cui Dalì fu sottoposto sarebbe il motivo per cui egli creò e donò il crocifisso al frate. I due si conobbero iniziando un lungo rapporto di amicizia nel 1947. Tuttavia non ci sono prove che la donazione sia avvenuta in Francia: potrebbe essersi verificata in Italia, dove l’artista si è recato più volte per far visita all’amico religioso al quale, nel frattempo, era stata sospesa la riduzione allo stato laicale consentendogli di riprendere le sue funzioni sacerdotali fino alla morte avvenuta nel 1984.

Giova ricordare che Dalì, in due circostanze, il 23 novembre 1949 e il 2 maggio 1959, è stato ricevuto rispettivamente da Papa Pio XII e da Papa Giovanni XXIII: della prima visita esiste documentazione, mentre della seconda non c’è traccia né nell’agenda papale né sulle colonne dell’Osservatore Romano (ne ha dato tuttavia notizia il quotidiano parigino Paris Match in un articolo apparso verso la metà di maggio dello stesso anno, mai smentito dalle fonti vaticane).
Il professor Armando Ginesi interpreta il Cristo in croce di Dalì come “pietà filtrata da un senso del paradossale: mentre la figura rappresenta la morte e la sofferenza che l’ha preceduta, il suo colore chiaro (che spicca sul marrone scuro della croce) sembra alludere alla positività e dunque alla vita”.
La scultura, attualmente custodita nel caveau di una banca del Centro Italia, è di proprietà dell’Opera intitolata a Padre Gabriele, la quale intende alienarla per potenziare le risorse a favore dell’attività caritatevole.

Cultura e Spettacoli, 2005-10-12