Lo scrittore inglese più amato
Intervista esclusiva a Jonathan Coe


Jonathan Coe nel giro di pochi anni ha conquistato tutta l’Europa, grazie a romanzi come “La famiglia Winshaw”, “Questa notte mi ha aperto gli occhi”, “La casa del sonno”, “L’amore non guasta” e “La banda dei brocchi”. Con i suoi plot pirotecnici e la sua precisione chirurgica nel cogliere le più piccole sfumature nascoste dentro ogni emozione della vita, Coe ha raccolto attorno a sè un pubblico di fedelissimi che lo venera come una rockstar. E un’accoglienza da star lo scrittore di Birmingham ha ricevuto a Firenze, dove ha presentato “Circolo chiuso”, l’attesissimo seguito de “La banda dei brocchi”. Al capoluogo toscano Coe è legato da un curioso ricordo di gioventù, che scoprirete leggendo l’intervista e che illumina di luce autobiografica insospettabili particolari dei suoi romanzi.

Complimenti per il suo ultimo romanzo, anche se il mio preferito resta sempre…

“La casa del sonno”.

Esatto, come fa a saperlo?

In Italia tutti amano “La casa del sonno”. Non so perché, negli altri Paesi non è così.

Quando ha pensato “La banda dei brocchi” sapeva già che ci sarebbe stato “Circolo chiuso”?

Sì, l’ho sempre pensato come un romanzo non fine a se stesso, ma come parte di un romanzo in due parti. Mi piaceva molto l’idea di pubblicare “La banda dei brocchi” e “Circolo chiuso” separatamente e lasciare i lettori incuriositi per un po’ di tempo.

Uno dei personaggi di “Circolo chiuso” decide di votare a favore della guerra in Iraq per non perdere la casa dove si vede con l’amante. E’ un modo per mettere in luce i rapporti che si possono creare tra vita pubblica e privata?

Sì, questo è uno dei temi più importanti di “Circolo chiuso”. Molti mi chiedono se il libro sia pessimista o ottimista. Io dico che “Circolo chiuso” è influenzato dalla piega negativa che hanno preso gli eventi di oggi, allo stesso tempo, però, nella vita privata tutti noi continuiamo ad innamorarci, a metter su famiglia, ad uscire con gli amici, e questo si ripercuote in una continua tensione tra pubblico e privato. Paul Trotter è un neo-laburista indeciso se votare a favore o contro la guerra in Iraq. Istintivamente sarebbe contrario, però è preso dal dilemma perché da un lato non vuole dispiacere Tony Blair, dall’altro comincia una storia con la sua assistente. Inizialmente si vedono dal cognato, che lavora per la Reuters e non è mai a casa. Quando però si intravede l’ipotesi che il cognato possa tornare e si capisce che se il Governo dovesse votare sì alla guerra, il cognato andrebbe in Iraq, Paul non può non pensare all’appartamento libero e vota a favore della guerra. Chi legge può pensare che Paul sia un mostro, io credo invece che proprio in quella scelta egli riveli il suo lato umano.

Quando scrive le capita di affezionarsi particolarmente a qualche personaggio?

Sì, tendo ad affezionarmi ad alcuni personaggi. Ne “L’amore non guasta” ero affezionato a Robin, ne “La famiglia Winshaw” a Michael, ne “La casa del sonno” a Terry, ne “La banda dei brocchi” e “Circolo chiuso” a Benjamin. Non so se avete notato che con questi personaggi mi accanisco anche in modo particolare, dando loro dei finali crudeli: Robin si suicida, Michael muore in un incidente aereo, Terry è in coma dopo essere stato attaccato da un pazzo e Benjamin è destinato ad una vita da morto vivente quando incontra Cicely, la sua amata da sempre, che però è invalida. Non sono uno psicanalista e non so cosa possa voler dire tutto questo, ma sarebbe interessante scoprirlo.

Ha parlato di Benjamin, nei suoi ultimi due romanzi è molto bello il rapporto di amicizia che si stabilisce tra Benjamin e Doug, che è apparentemente il suo opposto. Si è ispirato a qualcuno per questi due personaggi?

Piace molto anche a me l’amicizia tra Benjamin e Doug. Direi che Benjamin rappresenta l’adolescente che io ero, Doug l’adolescente che avrei voluto essere e forse anche l’amico che non ho avuto. Quando ero un teenager ero molto timido. Si dice che l’adolescenza finisca a 19 anni, a me sembra sia durata fino ai 38-39, per questo sono molto invidioso di Doug, che già a 16 anni era capace di andare a vivere da solo, di andare ai concerti dei Clash, di andare a letto con una ragazza più grande di lui. Una cosa pazza però succede anche a Benjamin quando, ne “La banda dei brocchi”, si ubriaca e si risveglia la mattina dopo dentro un armadio insieme ad una ragazza, senza neanche ricordare se con lei sia successo qualcosa oppure no. Questa è una cosa che a me è accaduta sul serio, l’unica differenza sta nel fatto che non mi trovassi a Birmingham ma proprio qui a Firenze. Sì, è vero, era il 1979 e venimmo qui in gita scolastica. Ho un bellissimo ricordo di quella gita e credo che domattina mi metterò alla ricerca del nostro albergo.

Come si spiega che “Circolo chiuso”, come tutti i suoi romanzi, avvinca il lettore alla maniera di una soap-opera nonostante sia un libro complesso?

E’ un po’ il mio stile, che deriva dalla paura di far annoiare il lettore. Poi ho un cervello involuto che tende alla complicazione. Per esempio non mi piace scrivere racconti, ogni volta che ci provo non ce la faccio a trattenermi e inizio a scriverci un romanzo. Non mi basta scrivere una storia in cui due persone si incontrano in un bar e poi se ne vanno, perché comincio a chiedermi chi è quel personaggio, qual è la sua storia, chi è suo padre e così via. Anche adesso sto scrivendo quella che doveva essere una short story, ma sono già partito a disegnare l’albero genealogico della famiglia. E così dovrebbe venire fuori un romanzo tipo “La famiglia Winshaw” e riassumerà cento anni di storia britannica.

Nella sua scrittura c’è sempre molto spazio per la musica: può dirmi un artista particolarmente significativo per ciascuno dei decenni che ha raccontato nei suoi romanzi?

Dunque, per gli anni Settanta sicuramente Robert Wyatt, per gli anni Ottanta direi gli Smiths e per i Novanta gli High Llamas. Sono tutti musicisti che si caratterizzano per l’intimità che riescono a trasmettere. La musica che preferisco non si ascolta negli stadi e non si consuma con isteria, come può succedere per le canzoni degli U2 o dei Coldplay. Per chiudere con una frase direi che alla musica sinfonica preferisco la musica da camera.

Pierluigi Lucadei

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J. Coe “La banda dei brocchi”: http://www.ilmascalzone.it/re14.htm
J. Coe “L’amore non guasta”: http://www.ilmascalzone.it/re13.htm

Cultura e spettacolo – sabato 23 luglio 2005, ore 15.52