Lacerazioni, schizzi, Ferré e S.Benedetto
Intervista ai Tetes de Bois
Lo scorso luglio i Tetes de Bois hanno pubblicato uno dei migliori
dischi dell’anno, “Pace e male”, un doppio atipico e fascinoso.
Impossibile immergersi in canzoni come “Abbasso Nixon”, “Ce
l’ho con l’amore”, “La canzone del ciclista”
senza abbandonarsi ad un sussulto, un brivido, una lacrima. Abbiamo incontrato
Andrea Satta, voce dei Tetes de Bois, e con lui abbiamo cercato di sapere
qualcosa in più del mondo in cui vivono questi artisti pieni di talento
e di follia.
PL: Se per te va bene partirei con un dato numerico: quante copie ha venduto
finora “Pace e male”?
AS: Personalmente gli ultimi dati che ho avuto sono stati quelli di settembre.
Le copie vendute erano oltre 6000, quindi niente male considerando che il
disco era uscito poco più di un mese prima.
PL: Il vostro album, come tutti quelli de Il Manifesto, viene venduto anche
in libreria. Sapete se andate meglio nei negozi di dischi o in quelli di libri?
AS: Vendiamo molto di più in libreria. Le librerie stanno diventando
molto più composite, oltre ai libri si vendono tante altre cose. Sono
sempre più un luogo di aggregazione e, non solo per noi, anche un mezzo
per far conoscere la musica.
PL: Al di là delle vendite, credo che “Pace e male” vi
abbia dato molte soddisfazioni. Sbaglio?
AS: Quello che è successo con “Pace e male” è stato
entusiasmante, bellissimo. Ci è piaciuto che il disco sia stato capito
e che siano state spesso sottolineate le lacerazioni, la trasversalità,
gli schizzi che ci sono dentro. E’ bello quando a certi passaggi sghembi
viene dato il peso che tu gli hai voluto attribuire.
PL: C’è un posto dove preferite suonare?
AS: Ci troviamo bene ovunque ci sia una sfida, ovunque ci sia da lottare per
ottenere attenzione.
PL: E il posto più strano dove vi siete esibiti?
AS: Senza dubbio la vasca delle otarie dello Zoo di Roma. Vi abbiamo fatto
un “concerto muto” nel ’99. Eravamo tutti vestiti di nero
in una mattina di cielo terso e a bordo vasca c’erano cento cuffie stereo.
Fu un grande successo.
PL: Quando ti sei innamorato di Léo Ferré?
AS: Quando ero piccolo. Mio papà lavorava in Francia e mi portava i
suoi dischi. Lo considero un genio della canzone, grande per la sua ecletticità,
era poeta, musicista, interprete.
PL: E che ricordo hai del Festival Ferré di San Benedetto?
AS: Il ricordo di una passione, la passione debordante di Giuseppe Gennari
e di quel gruppo di pazzi anarchici.
PL: Ora ti faccio i nomi di qualche personaggio che è nell’orbita
dei Tetes de Bois. Puoi dirmi un pensiero su ognuno di essi?
AS: OK.
PL: Ezio Vendrame.
AS: Sapevo che Ezio ci cercava da molto tempo. Un giorno l’ho sentito
in radio e a fine trasmissione ho chiamato e ho chiesto “Ezio è
ancora lì?” e così ci siamo conosciuti. Faremo altre cose
insieme, voglio continuare a musicare le sue poesie.
PL: Daniele Silvestri.
AS: Un grande amico. Un personaggio raro che stimo tanto. Ha una sensibilità
artistica molto profonda.
PL: Paolo Rossi.
AS: Con Paolo ci conosciamo da dieci anni. E’ un grandissimo improvvisatore,
ma dietro questa sua tecnica del colpo ad effetto nasconde una grande preparazione
e una grande conoscenza del linguaggio e dei tempi teatrali.
PL: Giuseppe Gennari.
AS: Un papà. Un papà con le idee sbagliate.
PL: Visto che siamo a fine anno, qual è secondo te il miglior disco
italiano del 2004?
AS: Quello di Nada.
Leggi la recensione di “Pace e male”: clicca http://www.ilmascalzone.it/re51.htm
Pierluigi Lucadei
Cultura e spettacolo – venerdì 17 dicembre 2004, ore 19.52
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