Musica Rock: Ballate notturne di un autore di culto.
Intervista a Paolo Benvegnù


E’ un gioiello “Piccoli fragilissimi film”, il primo lavoro solista di Paolo Benvegnù. Per molti è l’esordio dell’anno.
Dopo lo scioglimento degli Scisma, il cui ultimo album, “Armstrong”, risale al ’99, il musicista lombardo si è trasferito a Firenze per ricominciare una nuova vita e un’altra affascinante avventura artistica. Nel capoluogo toscano è nato “Piccoli fragilissimi film”, uscito a febbraio per Stout Music e Santeria, un disco fatto di canzoni spiazzanti, intense fino all’estremo, vere, dolorose, bellissime.
Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con Paolo Benvegnù, in una torrida serata fiorentina, all’interno della Fortezza da Basso, prima della sua maiuscola esibizione alla Festa dell’Unità.
PL: “Piccoli fragilissimi film” ha avuto un’ottima accoglienza da parte della critica. Ora che sono passati alcuni mesi dall’uscita, e dopo diverse date live, senti che anche il pubblico sta rispondendo bene alla tua musica?
PB: Proprio oggi facevo queste considerazioni. Il pubblico sembra interessato, soprattutto durante i concerti vedo che c’è molta attenzione nei confronti della nostra musica, quindi il bilancio che posso fare di questo periodo è positivo. Le cose sono andate molto meglio di quanto pensassi.
PL: L’album ha un suono fluido, elegante se vuoi, cosa che crea un bel contrasto con l’urgenza espressiva che trapela dai testi. E’ come se tu abbia fatto ricorso a una forte dose di autocontrollo per riuscire a trattenere tutta questa urgenza dentro sonorità raffinate.
PB: Sì, forse è vero. In realtà è venuto tutto in maniera naturale. Quando io e Andrea Franchi ci siamo ritrovati in studio abbiamo pensato di lasciar andare la musica verso ciò che sentivamo. L’urgenza comunicativa è sempre controllata, hai ragione. Ho una sorta di pudore che mi ha tenuto a freno tutte le volte che sentivo di andare sopra le righe.
PL: Le canzoni hanno testi belli ed evocativi. Mai pensato di scrivere un libro?
PB: Qualche anno fa c’era una mezza idea, mi avevano chiesto di scrivere un libro quando ero con gli Scisma, ma ora no, non lo farei. Non è una cosa che mi interessi più di tanto e non mi ritengo all’altezza. Poi, ti ripeto, sono una persona pudica, non prevaricante, e le cose che vado appuntando ogni tanto sono talmente personali che non ho la pretesa che qualcuno le legga.
PL: “Il mare verticale”, il pezzo che apre il tuo cd, sembra la canzone gemella di “Altrove” di Morgan: stesse sensazioni, stessa affermazione del proprio modo d’essere, anche i ritornelli sembrano concatenati. Sei d’accordo?
Sì, sì, è vero. Quel “lasciarsi sfiorare dalle cose” si percepisce anche in “Altrove”. Morgan, però, scrive con più leggerezza di me. Lui è una persona che riesce ad avere proprio grazie alla leggerezza quel qualcosa in più. Tra l’altro ci conosciamo da un sacco di tempo e lo stimo tantissimo. Gli riconosco una grande onestà intellettuale e lo ammiro per non esser sceso mai a compromessi, neanche nei momenti di maggior successo.
PL: Sei stato testimone, con gli Scisma, di una stagione felice per il rock italiano, quegli anni Novanta che hanno partorito tante band e tanti buoni dischi. Oggi la situazione è totalmente diversa. Che idea hai in proposito?
PB: Quando abbiamo iniziato a fare le prime cose importanti con gli Scisma, attorno al ’96, si respirava un’aria completamente diversa da oggi. C’era contentezza, entusiasmo, voglia di fare, soprattutto nelle major. Poi, quando le vendite hanno cominciato a non soddisfare appieno le aspettative delle case discografiche, queste hanno iniziato ad interferire, a cercare di controllare gli aspetti più strettamente artistici: questo è stato uno dei motivi che hanno portato alla fine di quella scena che si era creata. Mettiamola così: le major hanno avuto la loro grande occasione, ma non ci hanno creduto fino in fondo o non hanno avuto coraggio.
PL: C’è una situazione ideale per ascoltare le tue canzoni?
PB: Di notte, quando si è tranquilli e da soli. Comunque a me sembra già un miracolo che qualcuno ascolti il disco, come non importa.
PL: Quali sono i tuoi idoli?
PB: Jacques Tati, che ha la capacità di commuovermi, Giorgio Saviane, l’autore di “Eutanasia di un amore” e “Il mare verticale”, da cui ho tratto il titolo del pezzo, e, soprattutto, Giorgio Gaber. Gaber lo ammiravo musicalmente, è ovvio, ma anche, e in special modo, umanamente. E’ stato l’artista meno italiano che c’è stato in Italia, un po’ quello che Pasolini è stato per il cinema e la letteratura, lui lo è stato per la musica. Mi dispiace che molti lo ricordino solo come “il marito di Ombretta Colli” o per altre cose secondarie. Per me è stato il più grande, il suo spettacolo “Il grigio” è qualcosa di straordinario.


Pierluigi Lucadei

Cultura e spettacolo – giovedì 22 luglio 2004, ore 11.14