Video di Carta.
La televisione attraverso la stampa negli anni ’50.
Ripercorrere le origini e gli sviluppi dell’incontro tra televisione e carta stampata negli anni Cinquanta con l’obiettivo di ricomporre il rapporto che li avvicina, verificando la presenza del video nella carta come nuova realtà sia di contenuti che di linguaggio, questo è l’obiettivo del presente lavoro. La scelta del titolo Video di carta, nato con intento metaforico, ha acquisito alla fine dello studio una valenza quasi referenziale. La televisione, infatti, viene letta come un testo letterario o teatrale o cinematografico da una critica ancora sfornita delle categorie di un linguaggio nuovo che le permetta di accedere sia alla realtà, che alla nuova immagine televisiva. L’estratto che segue ricostruisce le tappe principali della ricerca.
Televisione: un corpo alieno?
Nell’originale televisivo I figli di Medea, andato in
onda il 9 giugno 1959 uno dei protagonisti, Enrico Maria Salerno, brucia simbolicamente
un quotidiano. L’opera di Vladimiro Cajoli, che può essere considerata
come uno dei primi esempi di “televisione dentro la televisione”,
vuole mettere sotto accusa i giornali che riportano spesso a grandi lettere,
ogni atrocità e ogni corruzione. Ma come un “video di carta”
la televisione, in quell’occasione, brucia anche se stessa in quanto
volendo puntare sulla sorpresa, si preclude la possibilità di proseguire
sulla medesima strada.
Carta stampata e televisione, accumunati dalla stessa definizione di mass
media e sovente analizzati come unitario oggetto di ricerca, rappresentano
rispettivamente il più antico dei mezzi di comunicazione di massa (il
quotidiano apparve per la prima volta in Francia e in Inghilterra alla fine
del Settecento) e, prima di Internet, la più recente invenzione collegata
allo sviluppo scientifico e tecnologico.
La carta stampata ha, fin dalle origini, esaminato la televisione con curiosità,
snobismo, a volte persino timore, ma anche con tanta intenzione di migliorarla
attraverso la critica. Arriva ad interagire con essa e ne subisce gli attacchi
da coloro che come Renato Rascel, Vittorio Gassman e Walter Chiari utilizzeranno
la televisione per esercitare il loro diritto di replica contro i giornalisti
che si occupano di tv o come Enrico Maria Salerno che arriverà all’estremo
gesto di sacrificarla . Negli anni immediatamente successivi al debutto televisivo,
avvenuto il 3 gennaio 1954, il timore di certi intellettuali di vedere soffocata
l’irriducibile indole “piazzaiola” degli italiani è
risultato infondato. Ciò che avviene è soltanto una traslazione
dalla piazza al locale pubblico: è intorno alla televisione, negli
anni Cinquanta, che succede ciò che in passato accadeva intorno ad
una fontana. In merito alla sua origine, la televisione, deve accettare il
ruolo di figlia illegittima dagli ascendenti molto incerti . Il primo padre
è sicuramente l‘azienda che, allora come oggi Rai (e prima Eiar),
ha alle spalle un’articolata esperienza radiofonica e dà vita
alla nuova programmazione televisiva considerandola come secondaria rispetto
alla radio, quindi, completamente subordinata ai modelli di genere, di linguaggio
e di palinsesto di quest’ultima. Ma come genitori agiscono anche il
teatro di rivista italiano, il teatro straniero e il cinema italiano .
Modernità e “miracolo italiano”
Aldo Grasso, nel saggio Vedere lontano, afferma che la televisione
doveva sembrare un corpo alieno miracolosamente apparso “un bel giorno,
nel Bel Paese”. E si chiede: “giungeva da qualche paese? O da
un altro continente? Ci era stata lasciata in usufrutto dall’ultimo
paragrafo del piano Marshall? .
In effetti la televisione italiana “voleva fare l’americana”,
sostiene Gianfranco Bettetini, ma contamina e trasforma i prodotti di quel
Paese, desiderato e sognato, adeguandoli alle istanze della situazione nazionale
. Infatti i primi programmi televisivi si contraddistinguono per un inconfondibile
sapore “casalingo” e l’origine americana di Lascia o raddoppia?
viene ampiamente cancellata dalle personalità degli stessi concorrenti
che lo pongono in una dimensione tutta nazionale. Altra peculiarità
della televisione italiana riguarda la natura del suo impatto iniziale; essa
è stata vissuta non tanto come tendenza verso un modo di vivere incentrato
sulla casa (tipicamente americano), quanto piuttosto in una dimensione collettiva.
Riguardo la situazione politico-economica di quegli anni è da ricordare
che negli anni Cinquanta è in atto una “grande trasformazione”
nella ricerca di una “modernità” che si va affermando in
modo prepotente quanto diseguale . Sono gli anni del “miracolo italiano”,
che ha condizionato lo sviluppo della società italiana ed in cui l’americanismo
ha svolto un ruolo particolarmente significativo.
In merito a chi sulla carta stampata parla di televisione e cioè la
critica televisiva è da rilevare come nel corso degli anni essa si
confronterà più o meno giornalmente con il nuovo mezzo. Ed è
dall’unione tra televisione e stampa quotidiana che derivano e si accentuano
quelle contraddizioni di fondo che nel tempo hanno fatto della critica televisiva
un genere giornalistico dibattuto, controverso e comunque singolare, la cui
evoluzione è strettamente intrecciata con l’evoluzione della
televisione. Infatti l’iniziale “ideologia del rifiuto”
che accomuna buona parte degli intellettuali del tempo, è rivolta non
solo contro la televisione, ma anche contro la critica televisiva.
La funzione della critica di fronte allo specifico televisivo
Tra le prime cose che preoccupano seriamente la critica c’è la questione dello specifico televisivo, considerata per un certo tempo di particolare importanza: poter stabilire quale sia esattamente la specificità della televisione rispetto agli altri mezzi di comunicazione di massa, o alle altre forme di spettacolo, sembra essere, negli anni Cinquanta, il modo migliore e più sicuro per legittimarla culturalmente, anche agli occhi di chi ancora la disprezza, o di chi la guarda con “superiorità” . Ma la ricerca dello specifico appare anche un tentativo di voler legittimare innanzitutto lo stesso mestiere di critico televisivo. Da principio si crede persino di rintracciarne l’esistenza nella ripresa diretta e nelle sue manifestazioni più immediate: la rappresentazione del tempo reale e il montaggio paratattico . Tutte caratteristiche che dovrebbero distinguere la televisione da ogni altra forma di comunicazione e di espressione. Il problema però è davvero molto sentito, non solo da critici e studiosi, ma anche da programmisti e registi televisivi. Ne nasce così un dibattito in cui chi studia e utilizza il linguaggio televisivo e la critica, si influenzeranno strettamente procedendo e evolvendo di pari passo.
Il valore estetico del linguaggio televisivo
Altro problema molto sentito è quello di stabilire se
il linguaggio televisivo ha valore estetico. Sul tema si intrecciano opinioni
e polemiche spesso non prive di ambiguità. Di fondamentale importanza
è stato il contributo degli interventi di Umberto Eco . Egli sostiene
che l’equivoco nasce dal voler considerare la televisione come un genere
artistico, alla stregua del teatro o del cinema, invece che come servizio.
Ora, parlare in blocco di “estetica” di un tale fenomeno sarebbe
come parlare di estetica di una casa editrice.
Dunque è del tutto inesatto concludere che la televisione è
priva di possibilità artistiche, mentre è invece giusto affermare
che avendo ogni mezzo le sue leggi precise, connesse al materiale su cui si
lavora e alle tecniche impiegate, la televisione rende pessimi risultati quando
la si vuole rendere veicolo di opere pensate e realizzate per un’altra
destinazione. Allora per stabilire l’apporto che l’esperienza
di produzione televisiva può dare alla riflessione estetica è
necessario individuare quella particolare “espressione” che è
esclusiva del mezzo televisivo e che Eco individua nella ripresa diretta di
avvenimenti .
Revival anni Cinquanta
Tra le trasmissioni televisive dell’epoca, tre di esse
hanno suscitato un interesse particolare.
E’ il 19 novembre 1955 quando Mike Buongiorno pronuncia per la prima
volta il fatidico interrogativo: lascia o raddoppia?. Lascia o raddoppia?
ha rappresentato, insieme al suo conduttore un grande evento televisivo. Tanto
che da quell’anno diventa consuetudine il quiz trasmesso di giovedì
sera. Ma, soprattutto, diventa consuetudine la televisione. Non si tratta
solo della diffusione di una trasmissione ma anche della televisione a livello
popolare. Anche per la critica il programma di Mike Buongiorno segna una tappa
importante perché crea il “boom” quantitativo della telecritica
italiana: una specie di paradigma della diffusione televisiva, un paragone
per gli uffici abbonamenti della Rai-Tv e per la pianificazione industriale
dei fabbricanti di ricevitori . D’ora in avanti si dovrà tener
conto di questa nuova forma di intrattenimento, quasi ignorata fino a pochi
mesi prima, ricercatissima pochi mesi dopo.
Il 2 febbraio 1957 a quelle che diverranno le fatidiche ore 20,50, nasce Carosello
che ogni sera al suono di trombe e mandolini, dietro un sipario inventato
dallo scenografo Giulio Coltellacci che mostra le piazze e le fontane più
celebri d’Italia disegnate dalla matita di Artioli , introduce la pubblicità.
I 135 secondi sembrano infiniti in confronto ai 30, addirittura ai 15 (e anche
ai 5) degli spot moderni, ma vent’anni di Carosello rappresentano, una
grande invenzione linguistica per la televisione italiana: la brevità
.
La sera del 9 giugno 1959 durante la recita in diretta di un originale televisivo,
I figli di Medea, lo spettacolo viene bruscamente interrrotto per comunicare
che l’attore Enrico Maria Salerno ha rapito il figlio avuto da Alida
Valli, attrice che in quel momento sta interpretando Medea. Si tratta di una
finzione che al momento non viene capita e pertanto suscita un putiferio.
L’intenzione dell’autore, come anticipato all’inizio, è
unicamente quella di attirare l’attenzione del vasto pubblico, su problemi
che altrimenti sono destinati a passare inosservati. Molto originale per l’epoca,
rappresenta l’antefatto di programmi d’oggi basati su una impostazione
metatelevisiva, in cui il media diventa protagonista o riflette sulle proprie
funzioni.
Alla fine degli anni Cinquanta la televisione vista dai giornali è
appunto una televisione che vive sulle pagine, ma che il più delle
volte non coincide con quella reale per la quale non è facile trovare
una chiave di lettura che ne colga le peculiarità essenziali ed è
lo steso Cajoli a chiedersi: “Esiste un contenuto che sia tipico della
televisione? La televisione non è e non sarà mai perfettamente
definita e immutabile, perché si evolve con il mutare dei gusti, della
preparazione, della ricettività del pubblico. Un giorno potrà
dir cose che oggi non osa dire .
Bibliografia
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Nicoletta Amadio
Cultura e Spettacoli, 2004-01-03