“I diari della motocicletta”
di Walter Salles



Il nuovo film del brasiliano Walter Salles dura più di due ore. Eppure, alla fine, si ha il desiderio che il viaggio continui, che i due amici, dopo otto mesi passati insieme on the road, non si separino ma proseguano ancora, per altri mille e mille chilometri. “I diari della motocicletta” è tratto dai diari giovanili di Che Guevara (“Latinoamericana”) e di Alberto Granado (“Un gitano sedentario”), che Salles rilegge visivamente con fedeltà e sobrietà. Ernesto Guevara, ventitreenne laureando in medicina, e il suo amico Alberto, ventinovenne biochimico, partono per un lungo viaggio in sella ad una Norton 500 del ’39 (detta “la Poderosa”, in realtà poco più che un rottame) per scoprire l’America del Sud seguendo il percorso delle Ande. Il viaggio si rivela per loro molto più di quel “viaggiare per viaggiare” che avevano previsto. Ernesto e Alberto scoprono un continente sfiancato dalla povertà, col capitalismo che, benché arrivato da poco, è già riconosciuto come un mostro, un continente di contrasti insanabili, una terra sterminata, in cui però lo spazio per i poveri, i malati e gli indios appare ridotto al minimo indispensabile per sopravvivere. In questo contesto, la coscienza civile ancora acerba del giovane Ernesto, che osserva tutto con occhi onnivori e spirito inquieto, acquista forma e sostanza. Grande significato simbolico riveste la scena in cui Guevara attraversa a nuoto il Rio delle Amazzoni per festeggiare il suo compleanno con i lebbrosi di San Pablo. Il viaggio ha soprattutto colori scuri, vuoi per la splendida e fosca fotografia, vuoi per il cielo plumbeo che sembra seguire i due protagonisti. Ed è proprio nel buio della notte sudamericana che Ernesto scrive il suo diario di bordo, riversandovi l’amore tormentato per una ragazza troppo ricca rimasta in Argentina, il suo sdegno per le condizioni di lavoro dei minatori cileni, lo stupore di fronte alle rovine Inca di Machu Picchu, la scoperta dei saggi di Carlos Mariategui sul Perù. Da lì a qualche anno Ernesto sarebbe diventato il comandante Che Guevara, avrebbe spazzato via l’ombra di Batista da Cuba, prima di lasciarsi ossessionare dall’idea di “estendere la Rivoluzione”, che gli fece trovare la morte nella trappola boliviana. Eppure Salles non è caduto nel tranello di enfatizzare le sue gesta, realizzando un film coraggioso e decisamente riuscito, nonostante la sceneggiatura senza slanci; ma meglio uno script piatto che il deprimente polpettone che si finisce quasi sempre per fare quando si prende in mano la biografia di leggende planetarie (“I diari della motocicletta”, tanto per capirci, è l’esatto opposto di “The Doors”, il film di Oliver Stone su Jim Morrison). Il paffuto Rodrigo de la Serna (lontano cugino del Che) interpreta con esuberanza la contagiosa vitalità di Alberto, Gael Garcia Bernal si cala nei panni del Guevara-non-ancora-mito con misurazione e rispetto, centrando in pieno il giovane medico i cui talloni d’Achille si chiamano giustizia e coerenza e la struggente passione dei suoi occhi è la più bella chiave di lettura del film.

 

Pierluigi Lucadei

 

Recensioni – mercoledì 26 maggio 2004, ore 18.34