Il rapporto tra l’Arte
e la Medicina è un rapporto che si presta a molteplici declinazioni.
Declinazioni a volte scontate, altre volte meno immediate, persino oscure.
Fin dall’antichità si è pensato a questi due campi
del genio umano come a due aree in stretta connessione. Nella mitologia
greca, ad esempio, Apollo era sia il Dio della medicina che il Dio delle
arti.
Questo sentire ha accompagnato l’umanità fino al secolo scorso:
gli edifici di cura come quelli di culto erano semplicemente dei luoghi
d’arte. Perché stupirsene se pensiamo alla salute come ad
una meravigliosa opera d’arte e alla medicina come quell’arte
capace di donare nuovamente la salute sconfiggendo la sofferenza!
Tale rapporto si è poi perso nel momento in cui la medicina ha
sviluppato un approccio tecnicistico recidendo, inevitabilmente, i legami
con i saperi che si ponevano al di fuori dell’epistemologia scientifica.
Questo iato è stato ricucito, in parte, con l’avvento della
psicoanalisi, la quale ha mostrato che l’arte costituisce una terapia
per l’artista stesso. Quest’ultimo, attraverso la sublimazione
pulsionale, riesce là dove il nevrotico fallisce. Da questa scoperta
nasceranno, in seguito, le varie forme di arte-terapia. L’arte entra
così nei luoghi della psichiatria in quanto strumento capace di
permettere al ‘folle’ di trovare una modalità di espressione
fin lì sconosciuta. Attraverso un inedito linguaggio, quasi sempre
rappresentato dalla pittura, diventa possibile abreagire emozioni sconosciute
e condividere l’angoscia che colora il proprio disagio esistenziale.
Ma l’arte si apparenta alla cura anche per un’altra via, quella
che valorizza la portata terapeutica del piacere, dei benefici effetti
psicologici, prodotti dalla contemplazione di un’opera. Dapprima
l’arte ha abbellito i luoghi che vedono nascere la vita ( vedi i
reparti di ostetricia) o che l’accolgono nel suo tempo primo (i
reparti di pediatria).
Successivamente si è realizzato che essa potesse accompagnare l’esistenza
anche quando questa è segnata dalla malattia, una malattia che,
a volte, non ha altro orizzonte che quello rappresentato dalla morte.
E’ in quest’ultima sfaccettatura che l’arte costituisce
una sfida, una sfida impossibile ma non per questo inutile. Finché
l’arte si colloca come ulteriore dono là dove la vita mostra
il suo aspetto di cornucopia, è fin troppo semplice comprenderne
la portata terapeutica, ma quando intende farsi phármakon che intende
lenire le fratture interiori prodotte da un corpo che si fa altro da noi,
allora sembra più difficile motivarne la presenza. Eppure è
proprio quando il proprio essere sembra, irrimediabilmente, accartocciarsi
su se stesso, prendendo anzitempo commiato da un mondo avvertito come
privo di senso, che diventa indispensabile abitare luoghi in cui l’arte
può far sentire il respiro, anche flebile, della vita che continua,
comunque, a scorrere. Nel punto in cui il proprio dramma personale incontra
l’asetticità e la tristezza di un luogo anonimo e inospitale,
la visione di una pittura, di un affresco, può divenire il segno
di un legame con la vita, di un luogo da abitare e di un tempo da condividere
tra chi soffre e chi questa sofferenza intende sradicare o, almeno, rendere
più umana.
E’ proprio in conseguenza di questa rinnovata consapevolezza che
il ruolo dell’arte nella cura dei tumori sta diventando un fenomeno
che si va sempre più strutturando e diffondendo.
In tal senso ci appaiono significativi due eventi programmati per il prossimo
dicembre.
Il primo è la Mostra …del seno tuo… tra Arte e Salute,
che si inaugura giovedì 4 dicembre, alla Pinacoteca Civica di Ascoli.
L’Associazione “Amici dello IOM (Istituto Oncologico Marchigiano)
Onlus di Ascoli Piceno nell’invito spiega che “si propone
di affrontare il tema del seno, già ricco di significati simbolici
nell’immaginario collettivo, nei due opposti versanti della positività
– e quindi della bellezza, della salute, della gioia – e della
negatività, intesa come malattia e paura”.
Il secondo, giovedì 11 dicembre, in occasione dell’inaugurazione
del rinnovato Servizio di Oncologia dell’Ospedale Madonna del Soccorso
di San Benedetto, è l’esposizione permanente di opere d’arte
nei locali del servizio oncologico dal titolo: “L’arte come
terapia – La terapia dell’arte”. Nella locandina di
invito si legge: “Quando la malattia rompe la silenziosa omeostasi
dell’esistenza, una dolorosa frattura si produce nella nostra identità
psicologica. Una frattura che ci allontana dagli altri e dal mondo esterno.
Occorre, allora, creare uno spazio transizionale, capace di ricucire,
almeno un poco, questo strappo. Ecco, l’Arte può rappresentare
uno dei modi per tentare di rimarginare la ferita del nostro essere. L’Arte
può divenire un anello capace di tenere annodati due mondi divenuti
estranei …”.
Psichiatria, Pediatria e Oncologia non sono, e non debbono essere, i
soli ambiti di interesse del connubio tra arte e salute. Sarebbe, infatti,
auspicabile, la presenza di opere d’arte in tutti gli spazi di assistenza
e di cura, dall’accettazione alla rianimazione, seppur con significati
e scopi diversi: dal semplice abbellimento alla funzione terapeutica.
L’opera d’arte può attenuare gli effetti nefasti, frutto
di un tecnicismo esasperato e di un ambiente ‘sterile’, che
colpiscono non soltanto la personalità del paziente ma anche quella
di chi lo assiste, restituendo così dignità umana al malato
e forza d’animo al sanitario.
Vincenzo Luciani e Mauro Marabini
Cultura, 2003-12-01 ore 17.02
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