C’è chi ha parlato di “The dreamers”
come di un capolavoro, chi ha storto il naso, e persino chi ha rivendicato
il diritto di dire che è un film schifoso senza averlo visto.
Bertolucci va alla rivoluzione e porta con sé tre giovani sognatori.
Il primo sguardo è sulla Torre Eiffel, e c’è una voce
narrante: è quella di Matthew l’americano.
Ho l’impressione che questo film sia grande, un grande film intimo,
un film piccolo piccolo. Mi tornano in mente “I ragazzi terribili”
di Jean Cocteau. E mi torna in mente “Ultimo tango a Parigi”.
C’è questa attrice, Eva Green, che gira nuda per casa per
la gran parte del film, ed ha delle tette enormi. E’ Isabelle, gemella
siamese di Theo. Non si può dire che i due abbiano un rapporto
morboso o contatti ambigui, i due, semplicemente, si amano. Ma è
come se il loro amore debba per forza passare attraverso Matthew. Qui
“The dreamers” diventa una tragedia greca.
(Mal)educazione sessuale: egoismo, voyeurismo, stupore, violenza elettrica.
Quant’è impotente il mondo di fronte ad un sogno? I tre
sognatori sono immersi in un fluido allucinante, la loro libertà
è un’ebbrezza angelica. E’ più grande Keaton
o Chaplin? Hendrix o Clapton?
Cosa c’è di amorale nella tenerezza? Theo, Isabelle e Matthew
sono puri e nella purezza non c’è nulla di vietato.
Il cinema è una delle chiavi di volta di “The dreamers”.
I protagonisti fanno parte di quell’insaziabile cerchia di fanatici
che al cinema siede sempre in prima fila, per vedere le immagini “prima”
degli altri. Quelli erano altri tempi, certo. Le sale erano gremite e
ogni regista proponeva la sua rivoluzione sotto forma di sogno. Tempi
in cui Godard, Bresson, Ray, Marlene Dietrich contavano più dei
nostri padri e delle nostre madri. E ancora, sia chiaro, non c’è
nulla di amorale. Come se il sogno non valesse quanto e più della
vita vera.
Bertolucci non dimentica le contraddizioni del ’68. Ci sono i marines
in Vietnam e la rivoluzione culturale in Cina. Ma come possono questi
giovani borghesi, che vivono del loro poetico disincanto grazie agli assegni
di papà, parlare di rivoluzione?
Theo che cita il “Libretto rosso” fa sorridere e indignare
insieme. Viene il dubbio che il ragazzo sia convinto che anche a Pechino
volessero la fantasia al potere. Eppure questi versi “Tutti studenti
nel fiore degli anni/l’anima nostra andava svegliandosi/presi dalla
giovanile foga in massimo grado/indicavamo i nostri campi, i nostri fiumi/i
nostri scritti tradivano grida e evviva” anticipano di quarant’anni
gli slogan del ’68. Sono stati scritti nel ’26 da Mao.
Anche la morte è una rivoluzione e, pure nell’omicidio,
un sognatore è sempre innocente. Eros & Thanatos scoppiano
nella mente di Isabelle. Grottesco per grottesco, la vita è simboleggiata
da pietre e bottiglie molotov.
La giovinezza è un’esperienza devastante. Felice in modo
crudele.
Pierluigi Lucadei
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