Vini nel Mondo
Spoleto (PG) – Esperienze multisensoriali tra Umbria e Toscana


È partita venerdì scorso a Spoleto (PG) la prima edizione di “Vini nel Mondo”. Prima ed ultima, come un espositore ha malignamente sottolineato. Di certo non si può affermare di trovarsi di fronte alla maestosità di un Vinitaly o della Biennale di Bordeaux. E questo per due buoni motivi. “Vini nel mondo” non vuole essere un concorrente delle grandi fiere, ma un modo nuovo di intendere il rapporto arte, vino e gastronomia. In secondo luogo la manifestazione si svolge durante il periodo più critico dell’annata vitivinicola: la vendemmia. Per questo motivo pensavamo che sarebbe stato difficile raccontarvi di affascinanti esperienze sensoriali. Invece ci siamo dovuti ricredere.
Dall’Umbria, uno degli umbri per eccellenza: Lungarotti (www.lungarotti.it). La simpatia e la professionalità dell’espositrice, Sabrina Locchi, hanno reso il viaggio tra i vini di questa cantina ancora più piacevole. “Rubesco”, annata 2002. DOC dal 1968 è l’etichetta storica di Lungarotti. Il Canajolo aggiunge corpo ad una base di Sangiovese dal colore rubino. Elegante bouquet di peperone. In bocca rimane morbido, mai aggressivo e di media persistenza. “Rubesco Riserva – Vigna Monticchio”, 2000. La provenienza da un’unica vigna conferisce un tocco di maggiore nobiltà a questo grande rosso riserva. Dodici mesi tra acciaio e barrique e poi un lungo affinamento di tre anni in bottiglia gli conferiscono un colore rosso rubino intenso, un bouquet ampio e ben strutturato e una lunga persistenza, rimanendo al contempo morbido ed equilibrato. “San Giorgio”, 2000. Come è vero che esistono i “Supertuscans”, possiamo qui parlare di “Superumbrians”. L’aggiunta di Cabernet al Sangiovese e al Canajolo internazionalizzano questo vino. Dodici mesi di sola barrique tre anni di affinamento in bottiglia lo preparano a grandi secondi di carne. Il naso si esalta di peperone e vaniglia. In bocca è rotondo ed avvolgente con un’evidente retrogusto tannico, peraltro mai fastidioso. Infine il più divertente rosso della gamma: “Giubilante”, 2003. Sirah e Merlot regalano al Sangiovese dei profumi che non ti aspetti. Vino meno impegnativo rispetto agli altri, ma proprio per questo di più facile abbinamento con molteplici piatti.
Una chiacchierata lunga ed interessante, ricca di spunti di riflessione l’abbiamo avuta con l’azienda “Castello Sonnino” (www.castellosonnino.it) di Montespertoli (FI). La professionalità e l’amicizia con cui siamo stati accolti si riflette nei vini ci hanno fatto degustare. Anche in questo caso quattro rossi, ma diversi a due a due per la filosofia con cui sono stati creati. Da un lato il “Cantinino” (2001) e il “Sonnino” (2004), dall’altro “Castello di Montespertoli” (2001) e “San Leone” (2000). I primi seppur differenti per uvaggi ed invecchiamento sono i vini “dell’identità”. Il Cantinino, 100% Sangiovese, è un vino complesso. Rosso rubino carico alla vista, frutti di bosco, pepe, cannella e vaniglia al naso, caldo, rotondo e persistente in bocca. Il “Sonnino” nasce con l’80% di Sangiovese, il 15% di Canajolo, il 5% di Trebbiano e Malvasia. Il bouquet sa di fragole ed amarene ed in bocca rimane fresco e morbido. I secondi sono più “parkerizzati”, meno impegnativi sotto un profilo sensoriale. Il “Castello di Montespertoli” possiede un colore rosso rubino con riflessi violacei. Bouquet intenso, di frutta rossa, vaniglia e toni di liquirizia, dal gusto sapido e pieno. Infine il “San Leone”. Su una base di Merlot sono stati aggiunti Sangiovese e Petit Verdot. Il colore è un rosso rubino scuro, quasi nero. Al naso percepiamo intensi sentori di frutta matura, spezie ed erba secca. In bocca è potente, gradevolmente tannico e di lunga persistenza.
Per entrambe le cantine siamo rimasti piacevolmente colpiti dai prezzi che, in base all’etichetta prescelta, oscillano tra i 7 e i 35 Euro. Ovviamente facciamo riferimento al prezzo di enoteca, visto che in un ristorante bisogna oramai fare affidamento solo sull’onestà dei proprietari. E ci dissociamo dal direttore di Assoenologi, intervenuto alla manifestazione nell’ambito del convegno “La promozione del vino italiano nel mondo”, quando afferma che un giusto rincaro sulla bottiglia sia di due, tre volte il prezzo della cantina.
Infine vi vogliamo raccontare dell’esperienza multisensoriale della serata. L’associazione aretina “Terre e Territori” (www.terraeterritori.org) ci ha ammaliato con il suo saper fare del vino e della buona cucina un vero e proprio lifestyle. Si recita cantando l’amore per la propria amata attraverso una ricetta. Si accompagnano i cuochi con un sottofondo lieve di violoncello. L’occhio si lascia trasportare dalle immagini proiettate su uno dei lati del bellissimo chiostro medievale . E gli chef recuperano il prodotto di alta qualità. Mezze maniche, cipolla, aglio, olio, melanzane, zucchine, pomodoro, peperoncino, vino, pecorino e mozzarella si fondono e si amalgamo sulla padella. I profumi vengono catturati come in un narghilé culinario e da lì si diramano in più condotte, così da potersi obliare di mediterraneo e di passato. Il tutto annaffiato da del buon Chianti. Perché, come narra Francis Ponge, “non che sia gran cosa il vino. Eppure la sua fiamma danza in molti corpi nel bel mezzo della città. Danza invece che brillare. Fa danzare, piuttosto che bruciare o consumare”.

Armando M. Corsi

Cronaca - sabato 17 settembre 2005, ore 19.20