Finanziaria 2005:
intervento del Senatore M. Cavallaro.
Il senatore Mario Cavallaro è intervenuto in aula sulla Finanziaria, denunciando l'inadempienza dello Stato verso le Marche e l'Umbria.
FINANZIARIA 2005 - INTERVENTO IN AULA / 13 DICEMBRE 2004
Una Finanziaria iniqua che colpisce i cittadini e gli enti locali
Per la terza volta rivendichiamo le promesse fatto dallo Stato alle Marche
e all'Umbria
Signor Presidente, colleghi senatori, il mio sarà un commento non strettamente
tecnico come quelli già magistralmente espressi dai nostri relatori
di minoranza e dal senatore Morando, ma intanto desidero effettuare una notazione
di carattere generale: soltanto un grande sforzo mediatico può riuscire
a far credere che una manovra di circa 24 miliardi di euro o, più esattamente,
come sembra sia divenuta nel corso della nottata scorsa, di 22,8 miliardi,
possa essere una svolta epocale. È una manovra che a tale importo arriva
fra tagli di spesa e aumenti di entrate e perciò è, complessivamente,
l'importo che al Paese si chiede di mettere a disposizione di un riequilibrio
dei conti pubblici.
E lo stesso taglio fiscale di circa 5 miliardi di euro è dunque ben
poca cosa, a prescindere dal fatto che nel merito risulta distribuito, come
ci è stato spiegato, secondo le tecniche del piovere sul bagnato ed
è in gran parte finanziato con nuove specifiche entrate tributarie,
specie, ad esempio, su quella fascia di lavoratori autonomi ai quali proprio
all'inizio della legislatura si era rivolto con trionfalismo il Governo.
Penso che neppure un borseggiatore abile come quelli dell'oleografia di Dickens
sarebbe capace di far credere ai cittadini che, sottraendo dalla tasca qualcosa
e rimettendone in un'altra soltanto una piccola parte, questo cittadino ne
ricavi maggiore ricchezza e maggiori possibilità per il futuro. E questa
è la realtà, al di là dei tecnicismi e delle suggestioni
mediatiche e virtuali, la realtà quotidiana con la quale il Paese sarà
chiamato, è già chiamato ormai da più di un anno, a confrontarsi.
Le stesse speranze che il cambio del Ministro dell'economia aveva in qualche
misura legittimato per uno stile più consapevole in realtà sono
solo un cambiamento di stile personale. Per la terza volta ci si trova di
fronte ad un metodo che non solo non è concertativo (e forse si può
sostenere che la legge finanziaria non debba essere per forza oggetto di un
procedimento di concertazione reale con le forze sociali, che tutte insieme
sono insorte contro questo testo, compresa la Confindustria) ma è addirittura
sprezzante di quello stesso principio federalista che, in altra parte di questo
Palazzo, stiamo discutendo, e addirittura stiamo enfatizzando (devo dire,
a questo punto, del quale stiamo vaneggiando e favoleggiando).
Vorrei richiamare il principio che Comuni, Province e Regioni sono espressione
della Repubblica, e ne sono parte non gerarchicamente sottordinata allo Stato
centrale. E invece, pur tuttavia, abbiamo dovuto prendere atto che mai come
in questa occasione a Comuni, Province, Regioni e alle loro associazioni è
stato ragionevolmente posto e proposto un testo che non è stato oggetto
di nessuna discussione, di concertazione alcuna e rispetto al quale i punti
fondamentali dell'architettura non condivisibili sono stati del tutto non
oggetto di negoziazione.
E sì che peraltro la stessa Corte dei conti ha riconosciuto che, ad
esempio, per il 58,3 per cento la spesa pubblica verrà tagliata nel
2005 proprio con tagli sugli enti locali e addirittura, se non ci sarà
una manovra di cambiamento, come noi comunque continuiamo ad auspicare, per
il 73 per cento questa manovra sarà influenzata dai tagli sugli enti
locali per il 2006 ed il 2007. E ciò perché, fra l'altro, si
è scelto - lo hanno già detto magistralmente coloro che mi hanno
preceduto - un taglio di spesa del tutto ottuso e non selettivo.
Ovviamente, fare politica attraverso i tagli di spesa significa scegliere,
significa accontentare qualcuno e scontentare talaltro, e quindi significa
prendere una posizione reale, una posizione nitida, che avrebbe portato alla
considerazione che i Comuni, le autonomie locali nel loro complesso, le Province
le Regioni, sono (per riconoscimento anche qui della Corte dei conti, l'organo
tecnico, neutrale che vigila sui conti pubblici nel nostro Paese) coloro che
hanno, attraverso il Patto di stabilità, più di tutti contribuito
al tentativo di risanamento dei conti pubblici. Ad esso invece a posto mano
disordinatamente il Governo, aumentando la parte di spesa, aumentando proprio
quella parte di spesa che, odiernamente, come è stato ricordato, viene
invece drasticamente tagliata.
Tra l'altro agghiacciante e finora poco indagato è il fatto che in
questa legge finanziaria si propone un dimezzamento nel giro di pochi anni
della capacità di indebitamento reale delle autonomie locali, e non
ci si pone ancora il problema - ma si proporrà negli anni futuri -
che tutto ciò provocherà il raddoppio delle entrate locali per
mantenere il livello di investimenti attuali, o necessariamente il taglio
degli investimenti, perché non li si potrà sostenere con questa
manovra così incisiva sui conti delle autonomie locali.
E questo senza dire che alcuni strumenti finanziari progettati sono espressione
di un neocentralismo, perché non si creano fondi che vengono erogati
attraverso criteri obiettivi e attraverso la partecipazione obbligatoria in
alcuni settori delle Regioni, ma attraverso una sorta di sportello ministeriale;
tali strumenti aumenteranno quindi il tasso di discrezionalità, forse
anche di clientelismo, dell'erogazione verticistica della spesa pubblica.
Mancano invece gli strumenti di sostegno allo sviluppo, all'innovazione, alla
ricerca, al settore pubblico - in generale la scuola, la giustizia e la sicurezza
sono visti come pesi piuttosto che come risorse - eventualmente riqualificando
la spesa, per modernizzare il Paese.
L'attacco al Welfare e la mancata predisposizione di tutele per i nuovi lavori
diffonde incertezza, il contrario di ciò che servirebbe adesso al Paese,
ossia fiducia e speranza. Manca anche la solidarietà sociale. D'altronde,
lo stesso Governo fa manifestazione di stampo poujadista, che è tutt'altro
che l'esaltazione dello spirito di solidarietà civica, cui deve ispirarsi
una collettività nazionale ambiziosa.
Devo fare un'ultima osservazione, non perché sia legato al localismo,
ma perché lo Stato, anche in una condizione di particolare difficoltà
(quindi la mia non è un'esortazione localistica, ma etica) si dimostra
egoista, patrigno ed ingiusto anche di fronte alle catastrofi. Sarebbe odioso
un genitore che facesse qualcosa per un figlio e non per un altro, mentre
tutti i figli sono uguali, persino quando somigliano agli scarafaggi del proverbio.
Bisogna dire con forza che per la terza volta, come cittadini di Marche ed
Umbria - lo hanno fatto tutti i parlamentari - ci rivolgiamo pietisticamente
al Governo per ottenere quel che una legge dello Stato ha promesso, non politicamente,
quindi, ma istituzionalmente, mentre altri rivoli e altri canali, del tutto
legittimi, ma senza alcuna sistematicità e organicità, vengono
avviati dalle casse dello Stato verso esigenze straordinarie locali.
Speriamo che anche stavolta, come ci è stato assicurato, ci venga dato
qualcosa, anche se sarà poco. Speriamo soprattutto che questa sia l'ultima
occasione in cui siamo costretti ad un pietismo del tutto inaccettabile nelle
Aule parlamentari. Qui si tratta di creare uno strumento di carattere finanziario
che consenta l'erogazione di risorse a chi ne abbia bisogno per esigenze straordinarie.
La direzione di questa legge finanziaria è del tutto sbagliata e le
modalità con cui viene proposta non consentono una organica definizione
delle esigenze territoriali e locali, come pure sarebbe giusto, senza cedere
ai campanilismi, ma ci portano all'Aula con un dibattito artificioso e scontato,
perché sappiamo che stanotte si sono trovati quattro soldi per i forestali
e per Roma capitale. Arriveremo al voto e tutto il nostro lavoro e i nostri
sforzi emendativi saranno stati inutili.
Da questa finanziaria il Paese non si può attendere un miracolo di
Natale. Anzi, questo Governo assomiglia sempre più a Dorian Gray e
per conservare la sua apparenza accentua appunto le apparenze, i suoi continui
strappi, i suoi cambiamenti e le nomine consolatorie. Ma purtroppo la realtà,
sia del Governo sia di Dorian Gray, non è quella dello specchio, bensì
quella, ben diversa, di tutti i giorni. Ci auguriamo ci sia una svolta reale
della politica nel nostro Paese.
Per ulteriori informazioni collegarsi a: http://www.mariocavallaro.it/attivita_parlamentare/default.asp?dx=int-04-12-13.htm
Cronaca e Attualità, 2004-12-14