Caro Don Armando

Quel giorno eri disteso ai piedi dell'altare, la chiesa gremita, io ero piccolo e non capivo. Mi dissero: - è una ordinazione sacerdotale. Poi ci portasti il nostro primo pallone di cuoio. Era vecchio ma per noi che prendevamo a calci batuffoli di carta e stracci era il massimo e quando la camera d'aria non voleva saperne di stare dentro ci pensava Titì, pazientemente, abbandonando per l'occasione una scarpa. Fu la volta della partita con i ragazzi della Marina, si giocava al Ballarin, bello, liscio con il suo terreno rosso, largo, troppo largo e troppo lungo per noi abituati al campetto sotto i pini; troppo largo e lungo specialmente per me che ero il più piccolo, mi misero in porta ma anche quella era troppo grande ed entrarono troppi palloni. Sì, perdemmo la partita ma ci sembrava di aver giocato al Maracanà. Venne la Juve, per la coppa Italia, a giocare contro la Samb e vidi Sivori che al primo minuto segnava nella rete di Patregnani perché mi avevi portato a vedere la gara; quattro ad uno il risultato finale ma quanta emozione, anche la piccola Samb era riuscita a segnare un goal alla grande Juve. Avevo la smania di sapere, avevo già letto quasi tutti i libri del centro di lettura ma solo tu riuscivi ad allargare l'orizzonte al mio spirito irrequieto. Poi i campeggi a Foce: un giorno eravamo in cima alla Sibilla, un altro al Pizzo Borghese, al Vettore,. . ., era un sogno? No, ero veramente in cima a quei monti che fino allora avevano segnato per me i tramonti, il termine ovest dell'orizzonte e adesso anche l'orizzonte si allargava. Mi hai esortato a proseguire gli studi, ho perso mio padre e sei stato tu il punto di riferimento, il consigliere nei momenti importanti; ormai abitavo a San Benedetto ma venivo da te per chiarire ogni dubbio con me stesso e con il prossimo. Oggi ti ho visto ai piedi dell'altare, la chiesa gremita, cerco di capire il perché, non so darmi pace, sento ancora il bisogno dei tuoi consigli.

Pietro Lucadei